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Gli effetti della cannabis light sul nostro cervello. Scopri di più con Weedy Shop

ll CBD o cannabidiolo è un principio attivo che si presta per una vasta gamma di applicazioni terapeutiche che vale la pena conoscere a fondo. A tale proposito, diamo uno sguardo più da vicino a ciò che la scienza ha scoperto in merito ai benefici del CBD sul cervello umano.

Come agisce il CBD sul cervello?
I benefici del CBD sul cervello sono prodotti attraverso vari percorsi molecolari. Sebbene non si leghi realmente con due dei recettori cannabinoidi CB1 e CB2, agisce attraverso diversi canali indipendenti dagli stessi recettori. Il CBD migliora e inibisce l’azione legante di alcuni di questi accoppiati alle proteine, e si rivolge a un recettore specifico della serotonina del tipo 1A. La sua affinità con questo recettore è associata a molte proprietà terapeutiche del CBD. Gli effetti neurologici unici del CBD offrono sollievo e nel contempo evitano il rischio di rilascio di ormoni come il cortisolo, che è responsabile del metabolismo e delle reazioni allo stress e dell’ossitocina che influisce sul comportamento sociale. I recettori della serotonina influenzano anche l’umore, la cognizione e l’appetito di una persona.

Benefici del CBD sul cervello
Altri benefici del CBD sul cervello sono: migliorare l’attivazione dei recettori della serotonina 1A ( effetto che supporta la teoria di come il CBD impedisca determinati problemi e disturbi come il dolore neuropatico, l’ansia, la depressione, la schizofrenia e la nausea da chemioterapia). Il CBD si lega anche ad altri recettori TRPV1 che sono chiamati vanilloidi, e quindi consente di ottenere un effetto terapeutico soddisfacente. I TRPV1 svolgono un ruolo nella termoregolazione nell’infiammazione e nella percezione del dolore. Tra gli altri recettori vale la pena citare quelli attivati dal proliferatore di perossisomi (PPAR) noti anche come “recettori nucleari”, che si trovano sulla superficie del nucleo della cellula e che sono stimolati dal CBD per produrre un effetto antitumorale. Quando si attiva un recettore noto come PPAR-gamma, inizia un effetto antiproliferativo che provoca la regressione dei tumori nelle linee cellulari polmonari.

I benefici del CBD sul cervello possono aiutare gli individui ad affrontare problemi sia fisici che psicologici tra cui:

• Ansia, stress e depressione
• Epilessia
• Qualità del sonno

CBD effetti positivi sull’ansia
Mentre il THC può amplificare gli stati di ansia in alcune persone, il CBD è uno dei rimedi più efficaci, anche in presenza casi gravi. Gli effetti positivi in campo neurologico del CBD in tal caso si possono tranquillamente equiparare a trattamenti a base di farmaci.

CBD effetti sull’epilessia
Un altro specifico studio sui benefici del CBD sul cervello ha dimostrato la sua grande efficacia nel curare l’epilessia e altri disturbi neuropsichiatrici.

CBD effetti benefici sul sonno
La terza proprietà terapeutica del CBD va rilevata anche per quanto riguarda la qualità del sonno. Dal momento che il CBD può aiutare a ridurre l’ansia, a sua volta può servire anche per chi ha difficoltà a conciliare il sonno. Infatti, può aumentarne la quantità complessiva sopprimendo l’insonnia. A un piccolo dosaggio, la CBD induce la veglia e riduce la sonnolenza diurna, ma le dosi massicce impiegate poche ore prima di andare a dormire hanno un effetto equilibrante che spesso porta ad una buona notte di sonno.

Cosa rende il CBD diverso da altri cannabinoidi?
Il CBD, a differenza dell’altro principale principio attivo presente nella pianta della canapa, il THC, non è psicoattivo quindi non induce ad alcun stato di alterazione mentale. L’unica interazione del CBD con il cervello umano porta a un enorme beneficio in presenza di stati d’ansia. Il CBD è noto per avere diverse proprietà terapeutiche, tra cui l’azione neuro-protettiva; infatti, potrebbe rivelarsi utile quando si trattano malattie neurologiche poiché protegge le cellule dalla degenerazione. In uno studio sull’Alzheimer si è constatato che il CBD ne ostacolava lo sviluppo.

Gli effetti analgesici del CBD
Un’altra eccellente proprietà del CBD riguarda gli effetti analgesici. Infatti è stato dimostrato che è in grado di inibire la trasmissione neuronale senza causare tolleranza analgesica. Per questo motivo, i ricercatori affermano che il CBD e gli altri cannabinoidi possono essere utilizzati come base per il trattamento del dolore cronico. Sempre in merito alle proprietà benefiche del cannabidiolo in oggetto, è importante sottolineare che recenti studi hanno dimostrato che dosi molto elevate di CBD non hanno effetti tossici negli esseri umani, e che potrebbero essere utilizzate per inibire la crescita delle cellule tumorali.

Il CBD per curare e prevenire
Mentre la maggior parte degli studi si è concentrata sulla comprensione del THC, il cannabidiolo ha nel frattempo mostrato costantemente un grande potenziale per quanto riguarda i suoi usi terapeutici. È importante quindi comprenderne tutte le proprietà in modo che lo si possa usare per aiutare il corpo a vivere in salute e senza fastidiose patologie che poi creano a loro volta stati depressivi e portano persino a mancanza di autostima.

CBD e Cannabis effetti positivi
Il CBD è il principale componente della Cannabis legale (cannabis light o marijuana legale) perciò tutti gli effetti benefici del CBD si applicano all’utilizzo di cannabis light ricca di questo magico componente.

 

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Se vuoi scoprire le tipologie di cannabis light disponibili, con le relative descrizioni, vai al sito http://www.weedy-shop.com

La cannabis light contro i disturbi alimentari. Ce ne parla Weedy Shop

Diversi studi sugli effetti benefici della cannabis per i disturbi alimentari hanno dimostrato l’effettiva capacità di questa pianta.

Secondo l’AIDAP (Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del Peso), i disturbi alimentari sono dei comportamenti legati all’alimentazione che provocano un alterato consumo di cibo, danneggiando così in maniera significativa la salute fisica e mentale di un individuo. Tali comportamenti tendono ad essere influenzati da una volontà costante di controllo del peso.

Per chi soffre di queste patologie, mangiare è un momento di forte ansia e paura. La cannabis ha la capacità di rilassare e calmare, stimolando l’appetito ed invogliando la persona ad assumere cibo. Le tre forme più comuni di disturbi alimentari sono: anoressia, bulimia e fame compulsiva.

Anoressia

L’anoressia è la malattia più comune e diffusa tra le persone che soffrono di disturbi alimentari. È una forma molto grave e potenzialmente pericolosa che in casi estremi può portare anche alla morte. Infatti, questa patologia porta ad una repulsione verso il cibo e ad un’eccessiva perdita di peso. Un altro fattore evidente della malattia è il conto ossessivo delle calorie che si ingeriscono.

L’anoressia è il disturbo alimentare con il più alto tasso di mortalità, 12,8% e si è stimato che il 6% dei suicidi sia di persone affette da anoressia. Le cause che fanno scaturire questa malattia non sono solo riferibili al giudizio della società con i suoi stereotipi ma anche a traumi infantili. Altre ipotesi invece riterrebbero che l’anoressia dipenda da fattori genetici e neuro biologici.

Bulimia

La Bulimia è un disturbo alimentare che alterna fasi di forte voracità a fasi depurative. La persona tende ad ingerire quantità di cibo superiori al normale per un determinato lasso di tempo e a rigettarle poco dopo. L’assunzione incontrollata avviene senza un’apparente sensazione di fame ma al contempo con un forte senso di vergogna e disagio. Dopo aver assunto cibo, di solito vi è la fase depurativa in cui o tramite autoinduzione di vomito o con diuretici e lassativi si compensa all’abbuffata. Tuttavia, la mattia non ha dei segni esterni evidenti poiché le persone che ne soffrono hanno un peso forma normale.

Fame compulsiva
La fame compulsiva è anch’essa un disturbo alimentare, molto simile alla bulimia. In questa circostanza, la persona perde il controllo delle sue abitudini alimentari e mangia in maniera smodata in un lasso di tempo molto breve. Dopo la fase di abbuffata, al contrario della bulimia non si verifica l’autoinduzione del vomito ma si verificano forti sensi di colpa, disagio e disgusto verso se stessi e il proprio comportamento. La causa principale di questo disturbo è l’incapacità di gestire le proprie emozioni, in maniera tale da rifletterle nell’assunzione di cibo.

Effetti benefici della cannabis nei disturbi alimentari

Gli effetti benefici della cannabis per i disturbi alimentari sono innumerevoli.

Una volta ingerita la cannabis, il CBD presente all’interno interagisce con i recettori del Sistema Endocannabinoide CB1 e
CB2, presenti in diversi organi del corpo tra cui lo stomaco. All’interno dello stomaco permetto l’aumento di grelina, ormone responsabile della fame. L’azione del CBD è la stessa di quando si avverte che lo stomaco è vuoto. Pertanto lo stomaco invia dei segnali al cervello, che attivano la grelina. Questo ormone viaggia dall’ipotalamo, incrementando la mobilità intestinale e la consecutiva secrezione dei sughi gastrici.

La stessa soluzione viene già prescritta per malattie come l’AIDS e il cancro poiché la cannabis permette di aumentare la sensibilità del palato e dell’olfatto e di stimolare la fame. Inoltre migliora la percezione dei sapori anche in caso di effetti collaterali come la nausea e il vomito, grazie alla sua azione antiemetica.

Uno studio pubblicato sul Biological Psycology ha mostrato come ci sia un legame tra il Sistema Endocannabinoide e i disturbi alimentari. Infatti, nella ricerca emerge come le persone affette da disturbi alimentari abbiano anche un Sistema Endocannabinoide deteriorato. Assumendo cannabis e in particolar modo CBD, si ristabilirebbe il normale funzionamento del Sistema Endocannabinoide e a contrastare le patologie di cui si soffre tra cui i disordini alimentari.

Le informazioni sanitarie pubblicate su questa pagina sono esclusivamente a titolo informativo e formativo generale, e non sostituiscono la consulenza medica professionale. Pertanto, prima di intraprendere qualsiasi azione sulla base di queste informazioni, vi invitiamo a consultare un medico o un altro operatore sanitario. Non forniamo alcun consiglio di salute.

 

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Cannabis light. Che cos’è e che effetti produce sul nostro organismo? Risponde Weedy Shop

Seconda sostanza più abbondante presente nella cannabis, il cannabidiolo (CBD) è un metabolita non psicotico: ha effetti rilassanti, antidistonici, anticonvulsivanti, antiossidanti, antinfiammatori, non crea alcuna assuefazione, ma vanta una vasta gamma di applicazioni terapeutiche validate dai risultati delle ricerche scientifiche.

Non a caso, negli ultimi anni, si è rinnovato sempre di più l’interesse della comunità scientifica per il potenziale terapeutico del CBD, che è oggi riconosciuto tra gli elementi principali della “Cannabis Terapeutica”, e che è già stato utilizzato in diversi studi per il trattamento di numerose patologie e disturbi della salute dell’organismo umano.

CBD Effetti: cos’è il cannabidiolo?
Introdotto quanto sopra, cerchiamo di approfondire passo dopo passo il tema di oggi, con una serie di paragrafi che – ne siamo certi – ti permetteranno non solamente di comprendere che cos’è il CBD Cannabidiolo, quanto anche quali siano le sue proprietà curative e i suoi effetti.

Per far ciò, iniziamo con il ricordare che la Cannabis sativa, o – genericamente – canapa, è una pianta appartenente alla famiglia delle Cannabaceae costituita da diverse sostanze cannabinoidi: il THC (tetraidrocannabinolo) e il CBD (cannabidiolo).

Il CBD è classificato dall’Unione Europea come prodotto alimentare ed è presente in piccole quantità in numerosi ceppi di marijuana. Tuttavia, in alcuni rari casi, il CBD può essere il cannabinoide dominante. A differenza del THC, il CBD è un cannabinoide molto stabile, non è sensibile all’ossidazione, non è psicoattivo e vanta molte proprietà medicinali. Agisce come antagonista competitivo del THC e ne limita la degradazione da parte del fegato, inibendo l’enzima citocromo P-450-3° e 2C e la competizione diretta con THC enzimi degradanti.

CBD e THC: quali sono le differenze?
Chiarito quanto precede, ricordiamo anche come nella Cannabis sativa i ricercatori abbiano identificato oltre 400 sostanze chimiche differenti e oltre 60 di queste appartengono alla famiglia dei cannabinoidi.

Il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) è il principio attivo più studiato, anche se non è assolutamente l’unico. I suoi effetti e le sue proprietà sono notevoli, considerato che diverse ricerche hanno dimostrato che tale principio attivo può migliorare le funzioni sensoriali come la vista, l’udito, la sensibilità al colore, e non solo. Tale principio può infatti incrementare l’eccitazione sessuale negli uomini e nelle donne, e può cambiare – entro certi limiti – anche la percezione dello spazio/tempo.

In aggiunta a ciò, il principio THC è utile per poter produrre una forte sensazione di euforia, per assicurare il benessere mentale e per “affinare” la mente incoraggiando la curiosità e la creatività. Il THC è anche noto per aumentare l’appetito interferendo con la leptina, responsabile dell’ormone della sazietà.

Rileviamo altresì, a completamento di questa parte introduttiva, come il THC abbia una relazione equivalente con i recettori CB1 e CB2 ed imita l’azione dell’anandamide, un cannabinoide naturale prodotto dal cervello umano.

Per quanto concerne gli usi medicali, il THC è un potente:

Neuroprotettivo: protegge dai problemi neurologici e dalla degenerazione cerebrale legata all’invecchiamento (Alzheimer …). il THC timola la neurogenesi, ovvero la creazione di nuovi neuroni.
Ansiolitico e antidepressivo: riduce i sintomi dell’ansia, con effetto euforico e rilassante.
Analgesico: riduce il dolore.
Antinfiammatorio: 20 volte più dell’aspirina e due volte quello dell’idrocortisone.
Antitumorale e antimetastatico: combatte alcuni tumori (leucemia, glioblastoma, carcinoma epatocellulare, colangiocarcinoma, carcinoma mammario HER2-positivo, etc.).
Antispasmodico: riduce gli spasmi e le convulsioni.
Antiemetico: riduce la nausea e il vomito, come quelli derivanti dal trattamento del cancro o dall’AIDS.
Antiossidante contro i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare.
Broncodilatatore: aiuta gli asmatici a respirare.
Anti cachessia: stimola l’appetito e incoraggia a mangiare.
Inoltre, è adatto per il trattamento della sclerosi multipla (SEP), dell’apnea notturna, dell’epilessia (riduzione della frequenza delle crisi), del glaucoma (riduce la pressione intraoculare) e combatte la malattia di Crohn.

Attenzione, però. Se infatti quanto sopra è oramai accertato clinicamente, è anche vero che livelli di THC troppo elevati possono causare alcuni effetti collaterali come il disorientamento spazio – temporale, la perdita di memoria, la tachicardia, il nervosismo, l’ansia e la paranoia.

Per questo motivo, le persone con predisposizioni alla schizofrenia, al bipolarismo o all’ansia dovrebbero evitare di consumare le varietà di cannabis con alti livelli di THC, pur nella consapevolezza che questi effetti collaterali sono generalmente limitati dalla presenza di altri cannabinoidi come il CBN o il CBD.

Di contro, a differenza del THC, il cannabidiolo (CBD) è un cannabinoide non-psicoattivo, privo di effetti sul cervello ed è un efficace farmaco anticonvulsivante e analgesico.

Tra gli effetti CBD rileviamo come sia in grado di modulare l’azione del THC a livello cerebrale, prolungandone l’efficacia analgesica e limitandone gli effetti collaterali. L’intensità dei “cannabinoidi effetti” cannabis dipende principalmente dalla quantità di THC presente nella marijuana e dalla sua relazione con la quantità di CBD.

CBD: quali sono le proprietà curative più apprezzate?
A questo punto possiamo ulteriormente fare un passo in avanti nell’esplorazione del nostro tema, CBD effetti, per poter comprendere in che modo tali sostanze impattino sul nostro corpo in maniera percettibile.

Considerato ciò, non è certo errato affermare che il CBD agisce sul corpo principalmente mediante un potente effetto rilassante sui muscoli, avvertibile in misura chiara, inducendo uno stato di sedazione.

Il CBD agisce sul recettore CB1, CB2 e su altri recettori non cannabinoidi, come il 5-HT1A, amplificando il suo effetto ansiolitico. Ha lo stesso precursore metabolico del THC ed è il principale cannabinoide presente in varietà di cannabis con bassi livelli di THC.

Il CBD riduce fortemente alcuni degli effetti collaterali del THC, come la perdita di memoria, il nervosismo ed il disorientamento. Il cannabidiolo è un potente analgesico ed un antinfiammatorio, in grado di ridurre l’infiammazione.

Il CBD poseepropiedades è un potente antitumorale, antimetastatico ed è in grado di limitare la progressione di alcuni tumori (prostata, seno, colon, cervello …). È anche un potente ansiolitico e antidepressivo: riduce i sintomi dell’ansia e ha effetti rilassanti.

Ancora, segnaliamo come il cannabidiolo sia un antiemetico in grado di ridurre la nausea e il vomito, e sia un antipsicotico, aiuta a combattere la schizofrenia, i deliri e le allucinazioni. È efficace nel trattamento della sclerosi multipla (SEP) e della fibromialgia, è un potente miorilassante, aiuta a combattere l’insonnia, protegge dalla degenerazione cerebrale (morbo di Alzheimer e allevia l’artrite reumatoide.

Sull’organismo umano il CBD agisce come:

Antiepilettico: riduce convulsioni e convulsioni.
Antidiabetico: abbassa i livelli di zucchero nel sangue.
Antispasmodico: previene spasmi e convulsioni.
Anti-ischemico: riduce il rischio di arterie ostruite.
Antibatterico: rimuove alcuni batteri, limitandone il movimento e la riproduzione (batteriostatica), in modo più efficace del THC.
Ipotensivo: riduce la pressione sanguigna.
Anti-procinetico: rallenta le contrazioni dell’intestino tenue, aiuta a combattere la malattia di Crohn (ma aumenta l’abituazione a Remicade) e la malattia dell’intestino irritabile.
Antiossidante contro i radicali liberi (il CBD è più antiossidante delle vitamine C o E).
Inoltre, riduce la voglia di fumare tabacco, stimola la crescita ossea e combatte l’acne e la psoriasi.

CBD blocca le metastasi?
Prima di giungere allo stato conclusivo del nostro approfondimento su CBD effetti vogliamo apportare una piccola integrazione su un noto e interessante studio condotto nel 2007 dall’équipe del California Pacific Medical Center, che avrebbe validato la tesi secondo cui il cannabidiolo potrebbe essere in grado di bloccare il gene che provoca la diffusione delle metastasi del cancro al seno, ma anche di altre forme tumorali.

In particolare, dai risultati della ricerca è emerso che il CBD contenuto nella marijuana potrebbe diventare una valida alternativa alla chemioterapia. Ma è davvero così?

Anche se autorevoli ricercatori (lo stesso Professor Umberto Veronesi ebbene modo di sottolineare a suo tempo come la “fonte universitaria sia molto seria”), la cautela deve essere massima e, soprattutto, non lasciare spazio a ventate di illusorio ottimismo.

Rimandando pertanto a fonti più autorevoli, rammentiamo in questo passaggio come l’oggetto della ricerca scientifica non fosse la “droga”, ma un composto di derivati della cannabis che potrebbero davvero “combattere il tumore al seno”.

In particolare, il cannabidiolo funzionerebbe bloccando l’attività del gene Id-1, ritenuto responsabile della “metastatizzazione”, argomenta Sean McAllister, ricercatore dell’équipe del California Pacific Medical Center. Da questo interessante studio, i ricercatori di altri atenei universitari hanno iniziato a sondare gli effetti del CBD sulle patologie tumorali. Cosa è emerso?

Il cannabidiolo potrebbe bloccare anche le cellule del tumore cerebrale aggressivo. Il CBD offrirebbe la speranza ai malati di cancro di seguire una terapia in grado di ottenere gli stessi risultati della chemioterapia senza gli effetti collaterali, come la nausea e il maggior rischio di infezioni. Burkhard Hinz, Docente dell’Università di Rostock in Germania, sottolinea che “nonostante siamo ancora lontani dal mettere in pratica la nostra scoperta in una terapia clinica, quello che emerge è che il cannabidiolo ha effetti potenzialmente terapeuticamente utili nella lotta ai tumori”. Si tratta di ricerche e studi che hanno dato buoni risultati e speranze, anche se i risultati dovranno essere seguiti da trial sull’uomo per valutare la sicurezza del cannabidiolo.

Effetti collaterali del CBD

Ma ci sono effetti collaterali del CBD o no?

Rimandando a quanto affermato da un noto rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, “nell’uomo, il CBD non mostra effetti di potenziale dipendenza … Ad oggi, non vi sono prove di problemi relativi alla salute associati all’uso del CBD puro”.

Certo è che, però, livelli troppo elevati di CBD possono causare sedazione (sonnolenza), secchezza delle fauci, bassa pressione sanguigna e stordimento. Alcune ricerche suggeriscono che l’assunzione di alte dosi di cannabidiolo potrebbe peggiorare i movimenti muscolari e tremori nelle persone malate di Parkinson. Non producendo effetti psicotropi, il CBD è legale nella maggior parte dei paesi del mondo.

 

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La cannabis light contro la fibromialgia. Gli studi riportati da Weedy Shop

Un nuovo studio scientifico rivela che la cannabis standardizzata di grado farmaceutico con un alto contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) è efficace nel trattamento del dolore muscolo-scheletrico causato dalla fibromialgia.

E’ un lavoro sperimentale controllato contro placebo condotto su 3 diversi ceppi di cannabis forniti dalla società Bedrocan.

In 4 diverse occasioni 20 pazienti con fibromialgia hanno ricevuto la varietà Bedrocan con 22 mg di THC, la varietà Bediol con 13 mg di THC e 18 mg di CBD, e Bedrolite con 18 mg di CBD o un placebo.

I risultati dello studio dei ricercatori del Leiden University Medical Centre, pubblicati sulla rivista Pain, mostrano che le due varietà di cannabis contenenti THC hanno dato un aumento significativo della soglia del dolore rispetto al placebo. L’inalazione di CBD ha aumentato le concentrazioni plasmatiche di THC ma ha diminuito gli effetti analgesici indotti dal THC, indicando interazioni sinergiche farmacodinamiche ma farmacocineticamente antagonistiche di THC e CBD. Gli autori hanno scritto che questo “studio sperimentale mostra il comportamento complesso dei cannabinoidi inalati nei pazienti con dolore cronico con piccole risposte analgesiche dopo una singola inalazione.”

Tjalling Erkelens, fondatore e CEO di Bedrocan, è particolarmente soddisfatto per i pazienti: “I pazienti hanno sperimentato un dolore significativamente inferiore rispetto al placebo ed è un risultato molto importante per coloro che soffrono di fibromialgia. Ora abbiamo le prove cliniche serie che i medici stanno chiedendo quando prescrivono i nostri prodotti e che le compagnie di assicurazione sanitaria vogliono avere per legittimare il rimborso”.

Non in Italia, visto che ad oggi la fibromialgia, nonostante colpisca 2 milioni di persone, non è ancora una patologia riconosciuta. Nel febbraio del 2018 la Regione Emilia-Romagna era stata il primo ente pubblico a creare un ampio documento per la diagnosi ed il trattamento della patologia spiegando che: “Verso il futuro lo sguardo che il gruppo di lavoro vuole proporre con il documento è rivolto a promuovere e incentivare la ricerca, in particolare sui cannabinoidi e sulle interazioni con l’alimentazione; unico modo concreto per rispondere adeguatamente ai bisogni dei pazienti, contrastando l’estrema proliferazione di fantomatiche cure che danneggiano la salute e il portafoglio delle persone con fibromialgia”.

 

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La cannabis light come rimedio contro l’emicrania. Ce ne parla Weedy Shop

Il CBD, o cannabidiolo, è una delle molecole appartenenti alla famiglia dei cannabinoidi. Queste sostanze vengono principalmente prodotte dai tricomi della pianta di cannabis, e sembrano racchiudere innumerevoli effetti terapeutici. Il CBD ha ottenuto molta popolarità grazie alla sua capacità di trattare i sintomi di vari disturbi. Ha dimostrato un’azione antinfiammatoria, antiossidante, anti-convulsiva, e neuroprotettiva.

Il CBD ha ottenuto un’enorme popolarità non appena le testimonianze aneddotiche relative ai suoi effetti sono state diffuse sui media mainstream. Gli esperti pubblicano costantemente articoli sui presunti meccanismi d’azione della molecola, e stanno esaminando l’influsso del cannabinoide su modelli di infiammazione, stress ossidativo e convulsioni. Essendo privo di effetti inebrianti, il CBD è più facile da studiare ed è maggiormente accettato dal pubblico, rispetto al THC.

Tuttavia, gli scienziati stanno ancora analizzando solo la punta dell’iceberg. Devono ancora scoprire in che modo il CBD agisce nell’organismo, e gli studi clinici sono ancora limitati. Alcune ricerche hanno testato gli effettidella cannabis ricca di THC sui modelli di emicrania, ma la pianta contiene centinaia di composti fitochimici, inclusi cannabinoidi e terpeni, ognuno dei quali agisce in modo differente.

Di seguito, scoprirete tutto ciò che c’è da sapere sull’emicrania e le più recenti scoperte scientifiche sull’argomento.

L’emicrania è un mal di testa di intensità variabile, percepito come una pulsazione fastidiosa, generalmente su un solo lato della testa. Oltre a causare dolore persistente e spesso insopportabile, l’emicrania può generare altri sintomi come vomito, nausea e ipersensibilità a luce e suoni.

L’emicrania è un disturbo molto diffuso, e colpisce circa 38 milioni di individui solo negli Stati Uniti. Ne soffre circa il 6% degli uomini, e il 18% delle donne. Ben 5 milioni di cittadini statunitensi sperimentano almeno un’emicrania al mese.

Esistono vari tipi di emicrania, ciascuno con particolari sintomi. Il 70–90% della popolazione soffre di emicrania senza aura, che dura per 4–72 ore ed è contraddistinta da dolore pulsante ad un lato della testa. L’emicrania con aura è un altro tipo molto comune di emicrania, ed è accompagnata da vari sintomi di natura neurologica. I sintomi includono oscuramento parziale della vista, lampi luminosi, visione “a tunnel” e macchie scintillanti nel campo visivo. Un’altra forma di emicrania è l’emicrania cronica, che può persistere per più di 15 giorni al mese.

La causa esatta dell’emicrania è ancora ignota. Tuttavia, si ritiene che possa essere generata da alterazioni chimiche o nervose, o da malfunzionamenti dei vasi sanguigni nel cervello.

Gli studi condotti su questo argomento sono ancora allo stadio iniziale e pertanto incompleti, soprattutto a causa delle restrizioni a cui il CBD è stato sottoposto fino a poco tempo fa. Anche se non si è ancora giunti a conclusioni precise a livello scientifico, alcuni indizi suggeriscono che il CBD potrebbe contribuire a trattare l’emicrania.

L’efficacia di questa molecola deriva dalla sua interazione con il sistema endocannabinoide. Tale sistema è composto da siti recettori presenti in varie cellule sparse nell’organismo, e la sua azione regola numerosi processi fisiologici. I siti recettori sono chiamati recettori CB1 e CB2.
L’intero sistema è regolato da sostanze chimiche chiamate endocannabinoidi. Queste molecole hanno una struttura simile ai fitocannabinoidi, i cannabinoidi della pianta di cannabis, e quindi effetti analoghi anche sul corpo umano.

Si ritiene che il sistema endocannabinoide svolga un ruolo importante nel trattamento dell’emicrania, e che possa essere attivato tramite la somministrazione di CBD. Un articolo pubblicato nella rivista Experimental Neurology afferma che questo sistema potrebbe agire a livello centrale e periferico nell’elaborazione dei segnali di dolore.
Gli endocannabinoidi sarebbero in grado di inibire il rilascio dei neurotrasmettitori che controllano i segnali di dolore, interagendo con i recettori CB1. Secondo gli autori dell’articolo, il sistema endocannabinoide è un promettente strumento terapeutico, utile per ridurre l’infiammazione e il dolore fisiologico causati dall’emicrania.

Se questa ipotesi è corretta, la mancanza di endocannabinoidi nel sistema potrebbe contribuire allo sviluppo dell’emicrania e di altri disturbi. Tale condizione, nota come carenza clinica di endocannabinoidi, potrebbe rappresentare la causa primaria di emicrania in alcuni individui.

L’anandamide, o AEA, è uno dei vari endocannabinoidi prodotti dal corpo umano. Uno studio pubblicato nella rivista Neuroendocrinology Letters indica che questa molecola può stimolare o inibire l’attività di alcuni recettori della serotonina. Di conseguenza, l’anandamide potrebbe racchiudere potenziali effetti terapeutici per il trattamento dell’emicrania. Gli autori dell’articolo dichiarano che l’AEA ha un’azione tonificante sulla materia grigia periacqueduttale, un’area del cervello in cui ha origine l’emicrania.

Altre ricerche pubblicate nel Journal of Headache and Pain hanno esaminato il ruolo dell’anandamide sulle cavie animali. I test confermano che una disfunzione del sistema endocannabinoide può contribuire all’insorgenza di emicranie. Gli autori dello studio ipotizzano che modulare i recettori del sistema endocannabinoide, ad esempio somministrando AEA, può essere utile per trattare il dolore da emicrania.

L’olio di CBD potrebbe essere particolarmente efficace nel trattamento dell’emicrania grazie alla sua capacità di regolare i livelli di AEA, il cannabinoide endogeno in grado di alleviare gli attacchi di emicrania in determinate circostanze. È stato dimostrato che il CBD inibisce l’assorbimento di AEA e degli enzimi che degradano questa molecola. Pertanto, il CBD permette all’anandamide di circolare fuori dalla cellula per un periodo di tempo più lungo, esercitando l’effetto benefico citato precedentemente.

Il CBD può essere somministrato in vari modi. Chi ama fumare cannabis, può inserire i fiori ricchi di CBD all’interno di canne o vaporizzatori. Il CBD sta diventano sempre più popolare, e moltissime banche di semi scelgono di produrre varietà con concentrazioni di CBD elevatissime e dosi di THC quasi nulle.

Probabilmente il modo più semplice e discreto per assumere CBD è utilizzando l’olio di CBD. Questo olio può essere versato sotto la lingua, ed entra rapidamente in circolo nel flusso sanguigno. L’olio di CBD è disponibile anche in capsule, da assumere come integratore alimentare quotidiano.

Il CBD è praticamente privo di effetti collaterali. Se non avete mai assaggiato un prodotto contenente CBD prima d’ora, vi consigliamo di iniziare con un dosaggio basso, ed aumentare gradualmente la dose per valutare la reazione del vostro organismo.

CBD vs THC: quali sono le differenza? Scopriamole con Weedy Shop

Vi siete mai chiesti quali siano le differenze tra il CBD e il THC? Quali sono i benefici dei due principi attivi sulla nostra salute? E soprattutto, perché preferire il CBD al THC nell’uso medico, al di là dei ben noti motivi legali? Diamo una risposta a tutte le domande immergendoci nel mondo della canapa, dalla chimica che caratterizza i suoi principi attivi fino agli effetti medici documentati.

CBD VS THC: QUALI SONO LE DIFFERENZE CHIMICHE?
Intanto, facciamo le dovute presentazioni. Con il termine CBD ci riferiamo alla molecola 2-[(1R,6R)-3-metil-6-(prop-1-en-2-il)cicloes-2-enil]-5-pentilbenzen-1,3-diolo, anche detta cannabidiolo (nome decisamente più simpatico da ricordare). Si tratta di un metabolita (un prodotto del metabolismo) della Cannabis sativa, che non possiede effetti psicoattivi; ovvero, il CBD non è in grado di interagire con i nostri recettori neuronali CB1, responsabili tra le altre cose della percezione del dolore, del coordinamento e della memoria.

Il THC, invece, per gli amici Tetraidro-6,6,9-trimetil-3-pentil-6H-dibenzo[b,d]piran-1-olo o tetraidrocannabinolo è una molecola metabolita definita psicotropa, ovvero in grado di interagire con il nostro sistema neuronale. Benché entrambi vengano estratti dalla medesima specie (la Cannabis sativa, appunto), le differenze tra i due principi attivi sono notevoli. Al contrario del cugino CBD, il THC è capace di legarsi ai suddetti recettori CB1 e di alterarne il normale funzionamento. Da cosa dipende questa differenza? Dalla struttura chimica delle due sostanze. Anche se apparentemente molto simili, la molecola di THC possiede un gruppo reattivo capace di legarsi ai nostri recettori. La meccanica che sta dietro questa reazione è complessa ed esula lo scopo di questo articolo, ma è comunque facilmente consultabile online per chi volesse approfondirla.

Quello che a noi interessa, però, è che le differenze chimiche tra queste due molecole non influenzano solo la loro capacità di interagire con i nostri recettori neuronali, ma anche i loro effetti sul resto del corpo. Come? Vediamolo qui di seguito.

GLI EFFETTI MEDICI DEI PRINCIPI ATTIVI DELLA CANAPA
Sono numerosi gli studi già condotti sugli effetti medici del CBD e del THC, ma la ricerca continua. Benché ancora non siano note nel dettaglio tutte le interazioni di questi due principi attivi, siamo già in grado di individuare alcuni effetti molto interessanti. Recenti studi rivelano ad esempio che il CBD (e in misura minore anche il THC) sia in grado di interagire positivamente con il nostro sistema immunitario, dando origine a quella che in gergo viene definita immunomodulazione. È interessante inoltre notare che l’assenza di effetti psicotropici rende il CBD un candidato molto più interessante del THC per la cura di numerosi disturbi.

Tra questi, i principali sono:
Dolore
Infiammazioni
Psicosi
Malattie infiammatorie intestinali
Convulsioni
Nausea
Emicrania

Al CBD è stata riconosciuta anche una potente azione ansiolitica, efficace soprattutto per neutralizzare gli effetti scatenati dal THC. A sua volta, il THC risulta utile nel trattamento di numerosi disturbi, tra i quali spiccano il glaucoma e la spasticità (disturbi per i quali in alcuni paesi viene prescritta a scopo medicinale). Ma, al contrario del CBD, il THC si porta dietro anche diversi effetti collaterali.

Tra questi, i più notevoli sono:
Incremento della frequenza cardiaca
Secchezza della mucosa orale
Problemi nella coordinazione
Occhi rossi
Tempi di reazione rallentati
Perdita di memoria

Negli ultimi anni, i ricercatori stanno sperimentando nuove formulazioni che permettano di sostituire il THC con il CBD nella cura di patologie come la sclerosi multipla e la spasticità muscolare.

PERCHÉ CBD E NON THC?
E arriviamo dunque al punto cardine del nostro discorso. Perché scegliere il CBD e non il THC? Ebbene, se si esclude l’uso prettamente ricreativo del THC e si guarda solo alla sua interazione medica, risulta evidente che gli effetti secondari di questo principio attivo siano notevoli, soprattutto quando se ne considera un uso prolungato. Gli ultimi studi sul CBD sembrano invece rivelare che quest’ultimo non possegga importanti effetti collaterali. L’uso del CBD a scopo terapeutico si sta dimostrando un’interessante scelta medica, nonché una valida possibilità per il trattamento di disturbi più lievi (si veda, ad esempio, il vasto utilizzo degli oli al CBD). Inoltre, la sua capacità di interagire con il nostro sistema immunitario e di intervenire nell’immunomodulazione fa ben sperare in un’applicazione futura del cannabidiolo per la cura di malattie croniche e degenerative.

Allo stato attuale della ricerca è difficile dire con sicurezza se il CBD vedrà davvero un largo utilizzo nella medicina e nel trattamento quotidiano dei nostri disturbi. Ma è ancor più difficile non notare come i suoi numerosi effetti benefici e l’assenza di effetti collaterali dimostrati lo rendano già un’alternativa migliore del THC in un gran numero di applicazioni.

 

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Il negozio aperto H24 si trova in via Cesare Battisti 24, in pieno centro ad Ascoli, in viale Marconi 128 ad Alba Adriatica e in via Piemonte a San Benedetto 103/b, a due passi dal pub storico San Michele.

Se vuoi scoprire le tipologie di cannabis light disponibili, con le relative descrizioni, vai al sito http://www.weedy-shop.com

Artrite reumatoide, la cannabis light può aiutare. Ce ne parla Weedy Shop

La cannabis può avere effetti antinfiammatori nei malati di artrite reumatoide. È la conclusione a cui è arrivato un gruppo di ricercatori dell’University Hospital di Duesseldorf (Germania), che ha condotto uno studio, pubblicato lo scorso settembre, in cui viene analizzato l’effetto del cannabidiolo (CBD) sui fibroblasti sinoviali dell’artrite reumatoide (RASF).

I fibroblasti sono delle particolari cellule presenti nella membrana sinoviale, un sottile tessuto connettivo, che riveste internamente le articolazioni. Il cannabidiolo, invece, è un cannabinoide naturale presente nella cannabis sativa, che non provoca effetti inebrianti, attribuiti al THC. Il CBD aveva già dimostrato precedentemente di portare benefici nell’epilessia e alcuni studi effettuati sui roditori con artrite indotta hanno confermato gli effetti analgesici del componente della cannabis. In queste ricerche, però, non era stato identificato il meccanismo di azione del CBD, dato che è in grado di legarsi a vari recettori ed enzimi.

La ricerca ha incluso 40 pazienti affetti da artrite reumatoide, precedentemente sottoposti a intervento chirurgico di sostituzione dell’articolazione del ginocchio. In questi pazienti, gli studiosi tedeschi hanno analizzato l’effetto del CBD sulla vitalità e sulla produzione di citochine nei fibroblasti sinoviali dell’artrite reumatoide (RASF). Lo studio dimostra che il principio attivo della cannabis riduce la vitalità cellulare e la produzione di RASF, che sono uno dei principali autori della distruzione articolare nell’artrite reumatoide dato che, come spiegano i ricercatori, “secernono citochine pro-infiammatorie ed enzimi degradanti la matrice”. Precedentemente, i ricercatori avevano identificato il ricettore transitorio TRPA1 come bersaglio terapeutico, dato che anche il CBD si lega a questo recettore. “Abbiamo ipotizzato- spiegano gli scienziati- che il CBD abbia effetti dannosi sulla vitalità cellulare, il che potrebbe spiegare in parte il suo meccanismo d’azione nei siti di infiammazione”. Non solo. I ricercatori, infatti, hanno dimostrato anche come il CBD sia in grado di influenzare i livelli di calcio intracellulare. “La potenza del CBD è stata migliorata dalla preincubazione con TNF per 72 ore . In queste condizioni, i livelli di calcio intracellulare erano significativamente aumentati rispetto al RASF non trattato”.

Dallo studio emerge che uno dei principali principi attivi della cannabis “possiede un’attività antiartritica e potrebbe migliorare l’artrite mirando ai fibroblasti sinoviali in condizioni infiammatorie”. Di conseguenza, il CBD potrebbe rivelarsi utile come trattamento contro l’artrite reumatoide.

 

Weedy Shop informa che ha provveduto a abbassare i prezzi delle migliori selezioni di cannabis mantenendo invariata la qualità delle genetiche, per dare la possibilità a chiunque di provare e gustare le migliori scelte.

 

Info al numero 3248169597.

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Osteoporosi, la cannabis light può essere d’aiuto. Ce ne parla Weedy Shop

L’osteoporosi è una malattia caratterizzata da una riduzione della densità ossea. Questa patologia è causata da diversi fattori, tra cui invecchiamento, fumo, alcuni farmaci, sedentarietà e variazioni ormonali legate alla menopausa. Dal momento che il SEC influisce sul rimodellamento delle ossa, gli scienziati considerano questo sistema come un potenziale obiettivo terapeutico per la gestione della malattia.

Come accennato in precedenza, l’attivazione del recettore CB2 stimola un aumento della densità ossea. Quindi, i cannabinoidi che interagiscono con questo recettore potrebbero contribuire a trattare l’osteoporosi. Tuttavia, il discorso diventa più complicato quando si osservano i vari cannabinoidi, e i rispettivi meccanismi d’azione.

I principali endocannabinoidi prodotti dal corpo umano (anandamide e 2-AG) interagiscono sia con i recettori CB1 che con i recettori CB2. Ad ogni modo, l’anandamide si lega anche al TRPV1, un recettore associato alla riduzione del tessuto osseo.

Quando si parla di cannabis terapeutica, l’interesse scientifico si concentra soprattutto su THC e CBD. Il THC si lega ai recettori CB1 e CB2, mentre il CBD si lega al TRPV1 ed aumenta i livelli di anandamide nell’organismo. Tutte queste molecole generano effetti diversi tra loro, che potrebbero risultare sia positivi che negativi per il trattamento dell’osteoporosi.

Tuttavia, un altro cannabinoide potrebbe rivelarsi decisamente più efficace. Il terpene-cannabinoide beta-cariofillene si lega direttamente ai recettori CB2, senza attivare né i CB1, né i TRPV1. Per questa ragione, gli scienziati stanno valutando la sua capacità di promuovere l’attività degli osteoblasti e favorire la mineralizzazione delle ossa.

Marijuana ed artrite reumatoide
L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni (strutture che connettono le estremità di due ossa). Sintomi come gonfiore, arrossamento e riduzione della mobilità emergono quando il sistema immunitario non riconosce i tessuti dell’organismo e li attacca come fossero corpi estranei. Questo assalto continuo danneggia il rivestimento dell’articolazione, fino a causare erosione e deformazione dell’osso.

Gli esperti stanno iniziando a considerare i recettori del SEC come obiettivi terapeutici per il trattamento dell’artrite reumatoide. A quanto pare, questo vasto apparato svolge un ruolo fondamentale nei processi fisiologici che causano la patologia ed alcuni componenti del SEC potrebbero attenuare l’infiammazione della membrana sinoviale[2] e la distruzione della cartilagine.

Per comprendere meglio l’importanza del SEC nel trattamento dell’artrite reumatoide, dobbiamo prima analizzare il ruolo dei sinoviociti simil-fibroblasti (FLS). Queste cellule sono le principali responsabili della patologia. Esse “alimentano” la distruzione delle articolazioni, producendo proteine infiammatorie ed amplificando la lesione. È interessante notare che i pazienti affetti da artrite reumatoide presentano una maggiore espressione del recettore CB2 nelle cellule FLS.

Gli scienziati hanno scoperto che attivando tale recettore è possibile ridurre la produzione di proteine dannose. Le attuali ricerche stanno esaminando l’azione dei cannabinoidi su questo interessante recettore. Ad esempio, alcuni studiosi italiani stanno valutando la capacità del beta-cariofillene di limitare i danni alle articolazioni[3] tramite i recettori CB2 e i PPAR (un altro gruppo di recettori del SEC).

Cannabis e fratture
Il SEC regola il rimodellamento osseo, pertanto può influire anche sulla guarigione delle fratture. Una guarigione rapida consentirebbe agli atleti di tornare a gareggiare in breve tempo e ai soggetti anziani di recuperare velocemente la mobilità dopo una caduta.

La ricerca scientifica non è ancora giunta a conclusioni definitive ma, secondo gli esperti, il CBD potrebbe rappresentare un potenziale strumento per la guarigione delle fratture. Questo cannabinoide, privo di effetti psicotropi, non mostra una particolare affinità nei confronti dei recettori CB2. Tuttavia, l’obiettivo è determinare se la molecola possa stimolare la produzione di collagene e, quindi, favorire la guarigione tramite diversi meccanismi d’azione. Occorre comunque valutare in che modo il CBD possa favorire l’espressione dei geni ed innescare un effetto domino capace di supportare la formazione di collagene.

Differenze tra THC e CBD per la salute delle ossa
Per risolvere tale quesito, è necessario svolgere test approfonditi su soggetti umani. Al momento, i cannabinoidi più utili per la salute delle ossa sembrano essere il CBD e il beta-cariofillene. Studi in corso stanno testando miscele di CBD e THC, così come il CBD da solo, in modelli cellulari di guarigione delle fratture.

Probabilmente, in futuro la cannabis ricoprirà un ruolo chiave nella salute delle ossa. Il SEC è profondamente coinvolto nel mantenimento di ossa forti e nelle patologie ossee, pertanto i cannabinoidi sono i candidati ideali per modulare questo importante sistema. Nei prossimi anni, gli studi su esseri umani potrebbero confermare gli effetti delle molecole della cannabis su densità e salute ossea.

 

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Artrite, la cannabis light può aiutare. Ce ne parla Weedy Shop

La cannabis può avere effetti antinfiammatori nei malati di artrite reumatoide. È la conclusione a cui è arrivato un gruppo di ricercatori dell’University Hospital di Duesseldorf (Germania), che ha condotto uno studio, pubblicato lo scorso settembre, in cui viene analizzato l’effetto del cannabidiolo (CBD) sui fibroblasti sinoviali dell’artrite reumatoide (RASF).

I fibroblasti sono delle particolari cellule presenti nella membrana sinoviale, un sottile tessuto connettivo, che riveste internamente le articolazioni. Il cannabidiolo, invece, è un cannabinoide naturale presente nella cannabis sativa, che non provoca effetti inebrianti, attribuiti al THC. Il CBD aveva già dimostrato precedentemente di portare benefici nell’epilessia e alcuni studi effettuati sui roditori con artrite indotta hanno confermato gli effetti analgesici del componente della cannabis. In queste ricerche, però, non era stato identificato il meccanismo di azione del CBD, dato che è in grado di legarsi a vari recettori ed enzimi.

La ricerca ha incluso 40 pazienti affetti da artrite reumatoide, precedentemente sottoposti a intervento chirurgico di sostituzione dell’articolazione del ginocchio. In questi pazienti, gli studiosi tedeschi hanno analizzato l’effetto del CBD sulla vitalità e sulla produzione di citochine nei fibroblasti sinoviali dell’artrite reumatoide (RASF). Lo studio dimostra che il principio attivo della cannabis riduce la vitalità cellulare e la produzione di RASF, che sono uno dei principali autori della distruzione articolare nell’artrite reumatoide dato che, come spiegano i ricercatori, “secernono citochine pro-infiammatorie ed enzimi degradanti la matrice”. Precedentemente, i ricercatori avevano identificato il ricettore transitorio TRPA1 come bersaglio terapeutico, dato che anche il CBD si lega a questo recettore. “Abbiamo ipotizzato- spiegano gli scienziati- che il CBD abbia effetti dannosi sulla vitalità cellulare, il che potrebbe spiegare in parte il suo meccanismo d’azione nei siti di infiammazione”.Non solo. I ricercatori, infatti, hanno dimostrato anche come il CBD sia in grado di influenzare i livelli di calcio intracellulare. “La potenza del CBD è stata migliorata dalla preincubazione con TNF per 72 ore . In queste condizioni, i livelli di calcio intracellulare erano significativamente aumentati rispetto al RASF non trattato”.

Dallo studio emerge che uno dei principali principi attivi della cannabis “possiede un’attività antiartritica e potrebbe migliorare l’artrite mirando ai fibroblasti sinoviali in condizioni infiammatorie”. Di conseguenza, il CBD potrebbe rivelarsi utile come trattamento contro l’artrite reumatoide.

 

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Osteoporosi, la cannabis light può essere d’aiuto. Ce ne parla Weedy Shop

L’osteoporosi è una malattia caratterizzata da una riduzione della densità ossea. Questa patologia è causata da diversi fattori, tra cui invecchiamento, fumo, alcuni farmaci, sedentarietà e variazioni ormonali legate alla menopausa. Dal momento che il SEC influisce sul rimodellamento delle ossa, gli scienziati considerano questo sistema come un potenziale obiettivo terapeutico per la gestione della malattia.

Come accennato in precedenza, l’attivazione del recettore CB2 stimola un aumento della densità ossea. Quindi, i cannabinoidi che interagiscono con questo recettore potrebbero contribuire a trattare l’osteoporosi. Tuttavia, il discorso diventa più complicato quando si osservano i vari cannabinoidi, e i rispettivi meccanismi d’azione.

I principali endocannabinoidi prodotti dal corpo umano (anandamide e 2-AG) interagiscono sia con i recettori CB1 che con i recettori CB2. Ad ogni modo, l’anandamide si lega anche al TRPV1, un recettore associato alla riduzione del tessuto osseo.

Quando si parla di cannabis terapeutica, l’interesse scientifico si concentra soprattutto su THC e CBD. Il THC si lega ai recettori CB1 e CB2, mentre il CBD si lega al TRPV1 ed aumenta i livelli di anandamide nell’organismo. Tutte queste molecole generano effetti diversi tra loro, che potrebbero risultare sia positivi che negativi per il trattamento dell’osteoporosi.

Tuttavia, un altro cannabinoide potrebbe rivelarsi decisamente più efficace. Il terpene-cannabinoide beta-cariofillene si lega direttamente ai recettori CB2, senza attivare né i CB1, né i TRPV1. Per questa ragione, gli scienziati stanno valutando la sua capacità di promuovere l’attività degli osteoblasti e favorire la mineralizzazione delle ossa.

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L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni (strutture che connettono le estremità di due ossa). Sintomi come gonfiore, arrossamento e riduzione della mobilità emergono quando il sistema immunitario non riconosce i tessuti dell’organismo e li attacca come fossero corpi estranei. Questo assalto continuo danneggia il rivestimento dell’articolazione, fino a causare erosione e deformazione dell’osso.

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Per comprendere meglio l’importanza del SEC nel trattamento dell’artrite reumatoide, dobbiamo prima analizzare il ruolo dei sinoviociti simil-fibroblasti (FLS). Queste cellule sono le principali responsabili della patologia. Esse “alimentano” la distruzione delle articolazioni, producendo proteine infiammatorie ed amplificando la lesione. È interessante notare che i pazienti affetti da artrite reumatoide presentano una maggiore espressione del recettore CB2 nelle cellule FLS.

Gli scienziati hanno scoperto che attivando tale recettore è possibile ridurre la produzione di proteine dannose. Le attuali ricerche stanno esaminando l’azione dei cannabinoidi su questo interessante recettore. Ad esempio, alcuni studiosi italiani stanno valutando la capacità del beta-cariofillene di limitare i danni alle articolazioni[3] tramite i recettori CB2 e i PPAR (un altro gruppo di recettori del SEC).

Cannabis e fratture
Il SEC regola il rimodellamento osseo, pertanto può influire anche sulla guarigione delle fratture. Una guarigione rapida consentirebbe agli atleti di tornare a gareggiare in breve tempo e ai soggetti anziani di recuperare velocemente la mobilità dopo una caduta.

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Differenze tra THC e CBD per la salute delle ossa
Per risolvere tale quesito, è necessario svolgere test approfonditi su soggetti umani. Al momento, i cannabinoidi più utili per la salute delle ossa sembrano essere il CBD e il beta-cariofillene. Studi in corso stanno testando miscele di CBD e THC, così come il CBD da solo, in modelli cellulari di guarigione delle fratture.

Probabilmente, in futuro la cannabis ricoprirà un ruolo chiave nella salute delle ossa. Il SEC è profondamente coinvolto nel mantenimento di ossa forti e nelle patologie ossee, pertanto i cannabinoidi sono i candidati ideali per modulare questo importante sistema. Nei prossimi anni, gli studi su esseri umani potrebbero confermare gli effetti delle molecole della cannabis su densità e salute ossea.

 

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